Principali tappe per il conseguimento del Diritto Umano all’Acqua

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La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 non parla, naturalmente, di diritto all’acqua: un concetto di questo tipo era infatti completamente estraneo alle preoccupazioni dell’epoca, concentrate sulla tutela diritti individuali, ovvero sui diritti civili e politici.

Tuttavia, adottando un canone interpretativo più ampio, un implicito riferimento all’acqua potrebbe essere colto in alcuni passaggi della Dichiarazione: l’articolo 25, per esempio, recita

Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari.

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Analogo riferimento allo standard di vita appare a distanza di quasi vent’anni nell’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights del 1966. In questo caso, la possibilità di intravedere nelle parole della Convenzione un implicito riconoscimento di un diritto all’acqua non si limita a essere un’interpretazione ipotetica, ma viene confermata nel 2002 dal General Comment n. 15 che, come è stato sottolineato, has provided a solid basis for recognizing a human right to water.

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Mar del Plata Action Plan si può considerare il primo riferimento esplicito al diritto umano all’acqua. Alla fine degli anni Settanta si svolse in Argentina una Conferenza delle Nazioni Unite in cui ci si occupò proprio dei problemi relativi alle risorse idriche. Il documento prodotto dalla Conferenza, il Mar del Plata Action Plan,stabilisce fin dalle premesse: All peoples, whatever their stage of development and their social and economic conditions, have the right to have access to drinking water in quantities and of a quality equal to their basic needs.

Non si tratta di una fonte vincolante, ma in senso stretto non può neppure considerarsi una soft law. Il documento si limita infatti a riconoscere, a livello teorico, l’esistenza di un diritto all’acqua, ma il valore di questo atto è limitato dal proprio contenuto meramente programmatico, fondamentale per la discussione successiva senza però alcuna efficacia sostanziale sul piano giuridico.

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Nel corso degli anni Ottanta sono del tutto assenti documenti politici o giuridici a livello internazionale che facciano esplicitamente riferimento all’accesso all’acqua. Tuttavia, si riscontrano alcuni richiami impliciti alla questione in Convenzioni che non riguardano direttamente il tema dell’acqua, come nella Convenzione Internazionale sulla Discriminazione contro le Donne, dove si menziona il diritto a condizioni di vita adeguate – con una particolare attenzione alle questioni relative all’abitazione, all’igiene e all’accesso all’acqua e all’elettricità, e ai requisiti igienici e nutrizionali al fine di combattere la mortalità infantile – con preciso riferimento a un accesso ad acqua pulita.

La Convenzione entrò in vigore nel 1981, ma non produsse nessun cambiamento rilevante nel dibattito internazionale in merito all’accesso all’acqua, dal momento che si tratta di un insieme di atti privi di valore giuridico vincolante in cui il diritto all’acqua al massimo può essere inferito da un quadro alquanto ampio e generico.

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Anche in questa Convenzione, entrata in vigore nel 1990, si fa riferimento al diritto a condizioni di vita adeguate – con una particolare attenzione alle questioni relative all’abitazione, all’igiene e all’accesso all’acqua e all’elettricità, e ai requisiti igienici e nutrizionali al fine di combattere la mortalità infantile – con preciso riferimento a un accesso ad acqua pulita. Anche in questo caso, dopo la sua stipulazione non si ottenne nessun cambiamento rilevante nel dibattito internazionale in merito all’accesso all’acqua, per il poiché neanche questo documento ha ancora un valore giuridico vincolante e il diritto all’acqua può solamente essere inferito.

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Fu un incontro esplicitamente dedicato all’acqua. I suoi risultati rispetto al diritto all’acqua, tuttavia, sono piuttosto ambigui, se non addirittura controproducenti: il Dublin Statement on Water and Sustainable Development, infatti, pur facendo riferimento all’acqua come a un diritto basilare di tutti gli esseri umani, ha in realtà contribuito a complicare ulteriormente lo status quo esplicitando la possibilità di attribuire un valore economico alla risorsa.

Nello stesso anno, il 22 marzo, viene istituita dalle Nazioni Unite la Giornata mondiale delle risorse idriche.

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Gli anni Duemila sono sicuramente quelli in cui il riconoscimento del diritto all’acqua subisce una significativa accelerazione, anche se essa è accompagnata da altrettanto rilevanti pratiche di privatizzazione della risorsa in numerose zone del mondo e da dichiarazioni volutamente ambigue. Tra queste, tutte quelle prodotte dai World Water Forum in cui l’influenza delle multinazionali e della Banca Mondiale diventano non solo praticamente, ma persino ufficialmente, molto rilevanti.

Emblematico fu il caso del 2009 quando, mentre si discuteva anche a livello internazionale del diritto umano all’acqua, a Istanbul il 5° World Water Forum definì per la prima volta l’acqua un “bisogno”.

Simbolo mondiale di una campagna d’opinione non più relegata soltanto all’ambito del diritto ma anche nelle lotte popolari è la Bolivia.
Nel 1999, sotto l’egida della Banca Mondiale, l’impresa municipale che gestiva l’acqua di Cochabamba, in Bolivia, la SEMAPA (Servicio Municipal del Agua Potable y Alcantarillado) viene privatizzata in seguito a un accordo fra il Governo boliviano di Hugo Panzer Suarez, ex colonnello e dittatore del Paese, cedendo per 40 anni la gestione delle risorse idriche della regione boliviana al consorzio Aguas del Tunari, controllato a sua volta dalla londinese International Water (sussidiaria della multinazionale statunitense Bechtel Corporation) con la partecipazione della spagnola Abengoa. Nel giro di pochi mesi, gli abitanti di Cochabamba vedono aumentare le tariffe del 300%.
La loro battaglia portò alla revoca della concessione.

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Commento Generale n. 15: il diritto all’acqua è adottato dalla 29a sessione della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Il Commento Generale sottolinea che tutti hanno diritto ad acqua sufficiente, sicura, accettabile, accessibile fisicamente ed economicamente conveniente.

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Non si fermano neanche le battaglie della società civile. A marzo 2003, a Firenze, si tiene il primo Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua e l’onda dei movimenti darà vita negli anni successivi a tante battaglie contro la privatizzazione dell’acqua.

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La pressione popolare sempre più diffusa nel pianeta e l’avanzamento, lento ma inesorabile, del riconoscimento dell’accesso all’acqua come diritto umano, portano il parlamento uruguaiano, nell’ottobre 2004, a indire un referendum per la modifica costituzionale grazie al quale è stato inserito il diritto all’acqua nella Costituzione dell’Uruguay.

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La battaglia globale per la protezione del libero accesso alle risorse idriche è particolarmente viva in Italia, dove si tiene a Roma, dal 10 al 12 marzo 2006, il primo Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.

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Catarina de Albuquerque è nominata Prima Esperta indipendente sul diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari dalle Nazioni Unite, che oramai riconoscono al tema una specificità ineludibile.

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Mentre a livello internazionale si discute sul riconoscimento del diritto umano, durante il Forum, viene ribadito che l’acqua un “bisogno”.

La Bolivia inserisce il diritto umano all’acqua in Costituzione.

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Finalmente, l’assemblea delle Nazioni Unite riconosce questo diritto con la risoluzione 64/292 grazie a 122 voti favorevoli, nessun contrario e 41 astenuti. Si tratta di un passo rilevante e di una decisione in qualche modo attesa da tempo come sottolinea Catarina de Albuquerque, l’esperta incaricata nel 2008 dalle Nazioni Unite di occuparsi dell’argomento.
Questa risoluzione rappresenta un atto politicamente rilevante e tuttavia necessita ancora di essere declinato attraverso la legislazione nazionale e internazionale affinché diventi realmente efficace. Un punto critico fondamentale è costituito dall’incapacità dell’Assemblea generale di giungere a una votazione unanime da parte degli Stati membri in favore di un testo già per sua natura privo di valore giuridico vincolante.

L’assenza di unanimità di consenso, infatti, rende improbabile che la Risoluzione 64/292 possa costituire, quantomeno in un futuro prossimo, una base dottrinale per giungere all’eventuale elaborazione di una forma di diritto consuetudinario all’acqua. Nella sua fondamentale portata storica questa Risoluzione, pur non avendo ricevuto alcun voto contrario, ha visto i rappresentanti di 41 Paesi astenersi con motivazioni legate alle interazioni fra la risoluzione, la legislazione internazionale e il processo di analisi portato avanti dall’Human Rights Council a Ginevra (chiamato anche “Geneva Process”).

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Il grande lavoro del Movimento per l’Acqua in Italia, nel 2011, comincia a dare i suoi frutti. Il 12 e il 13 giugno gli italiani sono stati chiamati al voto su quattro referendum abrogativi, uno di essi incentrato sull’acqua.

Con un’affluenza del 54,82% degli aventi diritto, e una percentuale di sì del 95,80%, viene approvato il quesito che propone l’abrogazione parziale della norma che stabilisce la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, nella parte in cui prevede che tale importo includa anche la remunerazione del capitale investito dal gestore.

A livello internazionale, sempre nel 2011, il consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite estende il mandato sul diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari attraverso la figura dello Special Rapporteur.

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L’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconosce il diritto umano all’acqua e il diritto umano ai servizi igienico sanitari come due diritti collegati, ma distinti. Viene inoltre adottata l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che include come Obiettivo n. 6 assicurare la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari per tutti.

Léo Heller viene nominato nuovo Special Rapporteur per il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari.

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Come è facile immaginare, e come abbiamo sottolineato più volte, il fatto che il diritto all’acqua sia stato ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha portato con sé ancora alcun cambiamento radicale nella legislazione dei vari Paesi né ha migliorato granché la condizione di quanti all’acqua non hanno accesso. Tuttavia, tale riconoscimento ha contribuito a rafforzare le posizioni di quei Paesi che avevano già inserito il diritto all’acqua all’interno del proprio quadro giuridico (non stupisce che il promotore principale del riconoscimento del diritto umano all’acqua in sede internazionale fosse la Bolivia dal momento che, nel 2009, il diritto umano all’acqua è stato inserito nella Costituzione Boliviana); ma soprattutto ha fornito uno strumento utilissimo di dibattito politico in difesa del diritto all’acqua.

Questa risoluzione dunque rappresenta emblematicamente una proiezione verso il futuro del diritto umano all’acqua: una volta raggiunto l’obiettivo di un primo e maggioritario riconoscimento di tale diritto a livello internazionale, la sfida è quella di farlo diventare operativo nella realtà dei singoli Paesi, nonostante le logiche di mercato e altri innumerevoli ostacoli.

Timeline disegnata da Elena Aversa