Cosa si discuterà alla Cop25? La conferenza sul clima di Madrid spiegata bene

L’analisi di Emanuele Bompan, ripresa dall’originale dell’Autore, apparso su La Stampa il 30 Novembre

 

Da lunedì 2 dicembre fino a venerdì 13 dicembre si terranno i colloqui tra i 196 paesi (197 se si include l’UE) che partecipano alle riunioni dell’ONU sui cambiamenti climatici all’interno del quadro noto UNFCCC. I lavori si svolgeranno nel centro fieristico IFEMA di Madrid, nei pressi dell’aeroporto Barajas Adolfo Suárez. La conferenza sarà presieduta dal governo cileno, nonostante abbia dovuto rinunciare ad ospitare i lavori. Il passaggio all’ultimo minuto da Santiago del Cile a Madrid, dovuto alle tensioni interne e all’impossibilità di garantire la sicurezza da parte del governo cileno, è stato compiuto in meno di un mese, grazie anche ai contributi di UE, Canada e Giappone per finanziare il trasferimento.

Su cosa vertono i negoziati

La COP25 ha la doppia funzione di completare i tanti meccanismi lasciati irrisolti che formano l’Accordo di Parigi – in particolare le regole dell’Art. 6 sui mercati e cc , e di dover spingere i paesi firmatari ad aumentare l’ambizione per il 2020. «Ambizione, ambizione, ambizione, ambizione, ambizione», ha tuonato il segretario generale dell’Onu, António Guterres per ribadire come gli NDC, gli impegni determinati da ogni stato, dovranno essere rivisti, con impegni molto più coraggiosi di quelli proposti dopo la firma dell’Accodo di Parigi.

L’ONU, il Cile e la Spagna spingeranno i governi a utilizzare la COP per segnalare obiettivi e piani più ambiziosi da portare al 2020 (urgenza sarà la parola d’ordine). Tanta pressione arriverà anche dalla società civile e si spera che la stampa internazionale sarà all’altezza per comunicare l’urgenza di questo meeting ai cittadini. Le voci più critiche però temono che pochi paesi sfrutteranno la COP per accelerare il lavoro sull’ambizione, mentre alcune nazioni, poco favorevoli all’Accordo, faranno da ostacolo per raggiungere un risultato chiaro sui meccanismi di trasparenza del conteggio emissioni.

I temi tecnici da seguire

  • Mercati del carbonio: è importante definire come i mercati del carbonio, dove chi inquina può compensare il proprio impatto comprando crediti da progetti o imprese virtuose, possano svolgere un ruolo positivo negli sforzi globali. Si lavorerà in particolare sulle regole sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi che riguarda i mercati e devono trovare una quadra che aggiorni o sorpassi l’architettura del Protocollo di Kyoto (con meccanismi come l’Emission Trading Scheme e i Clean Development Mechanism) che chiude il secondo periodo di impegni il prossimo anno e che quindi eviti un vuoto normativo che crei instabilità economica. A chi serve? In particolare a paesi industrializzati come EU, Giappone e USA, dove decarbonizzare costa di più in termini economici e che quindi meccanismi di mercato potrebbero alleviare i costi della transizione. I dubbi sono tanti: le “compensazioni” utilizzate dai paesi e dalle grandi imprese possono contare come nuove riduzioni delle emissioni? Ci sono due elementi critici da definire: il trasferimento delle compensazioni da paese a paese che andrà avanti anche senza regole, e quindi le regole sono necessarie (ed è qui che entra in gioco l’urgenza), e poi un mercato globale del carbonio che permetterebbe ai paesi (e, attraverso di loro, alle aziende) di scambiare compensazioni per diminuire il costo economico per la transizione. Riguardo al primo, si tratta di assicurarsi che non ci sia una contabilità sospetta (ad esempio possono attribuire un progetto che assorbe CO2 a più stati). Per quanto riguarda il secondo, si tratta, invece, di creare un sistema completamente nuovo e come questo si collegherebbe ai mercati del carbonio esistenti. Includendo anche meccanismi “carry over” (riporto) cioè ad esempio se Cina, India o Brasile possono vendere le compensazioni prodotte ora a paesi che vogliono usarle per compensare la loro azione tra il 2020 e il 2025. Questo ovviamente minerebbe la pressione per ridurre le emissioni nel prossimo quinquennio. Secondo l’esperto del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, Massimo Tavoni «I meccanismi di mercato del Protocollo Kyoto non hanno avuto effetti positivi. Ci sono stati problemi di accounting, di monitoraggio, di qualità istituzionale dei progetti. Credo però si farà un uso limitato di questo articolo»
  • Carbon Tax: esclusa da questo negoziato, ai margini si parlerà di una Carbon Border Tax, nota come imposta di adeguamento dell’impronta carbonica alla frontiera, ovvero una tassa su qualsiasi prodotto importato da un paese che non abbia un sistema tariffario del carbonio, come un mercato dei crediti o una carbon tax. Ipoteticamente, l’imposta regolerebbe il prezzo dei beni importati in modo che corrispondano a quelli prodotti in patria, sfavorendo nazioni che non adottano misure di decarbonizzazione adeguate. Un incubo per Donald Trump.
  • Finanza Climatica: dal 2009 si discute di movimentare 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 da inserire nel Green Climate Fund, istituito a Cancun nel 2010, e altri fondi per sostenere i paesi meno sviluppati nella transizione alla decarbonizzazione. Secondo l’India i paesi sviluppati dovranno completare gli impegni finanziari pre-2020 per dimostrare l’impegno a progredire in questa direzione. Secondo gli ultimi sono disponibili dati, i finanziamenti per il clima dei paesi sviluppati per finanziare l’azione per il clima nei paesi in via di sviluppo annunciati avrebbero raggiunto 71,2 miliardi di dollari, sostiene l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE. Bisogna fare in fretta: alla COP26 si dovrà iniziare a discutere del prossimo goal post-2025, dove da 100 i miliardi dovranno diventare molto di più.
  • Perdite e danni (Loss&Damage): Innalzamento dei mari, tempeste, siccità, incendi sono tornati all’ordine del giorno. I paesi più vulnerabili e meno sviluppati vogliono che l’organismo delle Nazioni Unite che governa la questione – noto come il Meccanismo Internazionale di Varsavia (WIM) – abbia accesso al sostegno finanziario, in modo che coloro che sono stati colpiti da condizioni meteorologiche estreme possano a loro volta accedere ai risarcimenti. Una sorta di assicurazione sul clima per nazioni fragili. Affinché il WIM sia pienamente operativo, i governi devono però rivederlo. E questo avverrà a Madrid. Punto chiave: trovare i soldi e migliorare la governance è una questione chiave (e soprattutto politica).

La Spagna cerca i riflettori

Già osannata per aver salvato l’appuntamento di quest’anno,  dopo il ritiro del Cile a causa dei disordini, delle morti e della pesante repressione della polizia a Santiago, la Spagna, con il governo del socialista Sanchez punta ad usare la COP25 per mostrare i progressi compiuti nella transizione energetica da quando i socialisti sono saliti al potere nel giugno 2018. Il ministro per la transizione ecologica, Teresa Ribera, che ha già creato un’eccellente macchina di promozione stampa con i giornalisti, vuole imporre la Spagna come un attore chiave per far progredire l’azione internazionale sul clima e per dare anche un impulso alle sue ambizioni domestiche sul clima. Dopo anni di stagnazione nello sviluppo delle energie rinnovabili sotto il precedente governo, la Spagna è tornata a crescere in questa direzione. Lo scorso anno è stato firmato un accordo con i sindacati per far chiudere tutte le miniere di carbone. Contrariamente all’Italia che non ha ancora previsto misure concrete per una giusta transizione (si pensi all’inutile decreto Clima), il governo di Sanchez ha stabilità un chiaro impegno a “non lasciare nessuno indietro”, lavorando con le comunità colpite per garantire che la chiusura delle centrali a carbone fosse compensata dalla crescita dell’economia a basse emissioni di carbonio. Il Bloomberg New Energy Outlook per il 2019 ha etichettato la Spagna come ‘gold standard’ per gli investitori in energie rinnovabili. Con abbondanti risorse eoliche e solari, e aziende come Iberdrola leader nella produzione ed espansione delle energie rinnovabili, gli investitori istituzionali guardano con attenzione palla Spagna per ottenere rendimenti elevati. Servono risorse però: per implementare il suo piano energetico e climatico nazionale per il 2030 (PNIEC) la Spagna deve attirare 200 milioni di euro da investimenti privati.

L’Europa

In vista della Conferenza delle Nazioni Unite COP25 sui cambiamenti climatici, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che dichiara l’emergenza climatica e ambientale in Europa. Richiede inoltre che la Commissione allinei tutte le proposte legislative e di bilancio con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C. In una risoluzione separata, il Parlamento esorta l’UE a presentare una strategia per raggiungere la neutralità climatica al più presto possibile, con il 2050 come data ultima. Gli europarlamentari hanno chiesto inoltre al nuovo presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di includere un obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di gas climalteranti entro il 2030 nel quadro del Green Deal europeo. Attenzione in particolare alle emissioni del trasporto aereo e marittimo. Tutti i paesi EU dovrebbero includere le emissioni dei trasporti marittimi e aerei internazionali nei piano di contributi nazionali europeo (l’Eu ha un unico NDC) e di includere almeno il settore marittimo nel sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE (ETS). Infine per quanto riguarda la finanza climatica, il Parlamento ha dichiarato che i paesi dell’UE dovrebbero almeno raddoppiare i loro contributi al Green Climate Fund. Stando alle parole di Ursula von der Leyen la Commissione dovrebbe accogliere queste raccomandazioni e portarle all’interno dei negoziati di Madrid. L’obiettivo della von der Leyen è puntare sull’ambiente e la protezione del clima, una «questione esistenziale per l’Europa e per tutto il mondo».

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