Israele – Palestina: una proposta che fa acqua da tutte le parti

di Christian Elia – foto di Gianluca Cecere

Molto si è detto e scritto rispetto alla proposta di soluzione per la questione israelo-palestinese che il presidente Usa Donald Trump ha presentato nei giorni scorsi. Al suo fianco il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e Benny Gantz, il leader dell’opposizione in Israele. Nessuno dell’Autorità Nazionale Palestinese ha accettato l’invito.

Un’ottima analisi dell’accordo (qui il testo integrale) è quella di Vito Todeschini, giurista, che potete leggere qui, ma dal punto di vista di WaterGrabbingObservatory, l’aspetto dell’accordo sul quale focalizzarsi è quello dell’acqua.

Il piano ne parla, al capitolo 14, pur non individuando un focus speciale. Ed ecco un primo aspetto molto grave: non potrà esistere alcun accordo che garantisca la pace che non inizi, tra gli altri punti, a riconoscere una centralità al tema dell’accesso alle risorse idriche e alla loro equa distribuzione.

Il piano prevede “importanti investimenti per migliorare la produzione di energia elettrica, la fornitura di acqua potabile e il trattamento delle acque reflue nei territori palestinesi”, dove i servizi di base sono sempre più sotto pressione. Nella povera Striscia di Gaza – uno dei luoghi più densamente popolati della Terra e controllato da Hamas – il piano prevede 590 milioni di dollari in sovvenzioni e prestiti a basso interesse per migliorare la centrale elettrica principale, portando elettricità affidabile per la prima volta dopo anni e creando decine di migliaia di posti di lavoro.

Parole vuote che non partono da un presupposto fondamentale: l’occupazione della Cisgiordania, dal 1967, e la crescita esponenziale degli insediamenti illegali, ha generato un accaparramento delle risorse idriche da parte israeliana. Bisogna riconoscerlo, per superarlo in modo equo.

In base all’accordo internazionale noto come Oslo II, firmato nel 1995, Israele ha mantenuto il controllo di tutte le risorse idriche. L’accordo – ancora in vigore, anche se doveva essere solo un accordo provvisorio di cinque anni – stabiliva che l’80% dell’acqua in Cisgiordania pompata dalla falda acquifera montana – una risorsa comune israelo-palestinese – sarebbe stata assegnata ad uso israeliano e il restante 20% ad uso palestinese. Stabilì inoltre che gli israeliani avrebbero ricevuto una fornitura d’acqua illimitata, mentre la fornitura ai palestinesi sarebbe stata limitata alla quantità fissa e predeterminata di circa 118 milioni di metri cubi dalle trivellazioni esistenti e altri 70-80 milioni di metri cubi dalle nuove trivellazioni. Un’altra condizione era che Israele avrebbe venduto ai palestinesi altri 31 milioni di metri cubi all’anno.

A causa di varie difficoltà tecniche, dell’inaspettato fallimento di nuove perforazioni nel bacino orientale della falda acquifera montana – l’area in cui erano state concesse le perforazioni palestinesi – e degli ostacoli posti da Israele – come i lunghi ritardi e l’astensione dal gestire l’approvazione dei progetti – i palestinesi attualmente estraggono quantità inferiori a quanto specificato nell’accordo.

La popolazione palestinese della Cisgiordania, quasi raddoppiata dal 1995, riceve attualmente solo il 75% della quantità d’acqua concordata, mentre gli israeliani continuano a godere di un approvvigionamento idrico illimitato. Di conseguenza, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) deve acquistare da Mekorot (l’azienda idrica nazionale israeliana) più del doppio della quantità di acqua specificata nell’accordo. Secondo i dati dell’Autorità palestinese per l’acqua, nel 2015, l’ANP ha acquistato da Mekorot altri 63,8 milioni di metri cubi per l’uso in Cisgiordania.

L’acqua di Mekorot raggiunge le comunità palestinesi della Cisgiordania attraverso il collegamento ai bacini idrici regionali di Mekorot – situati all’interno degli insediamenti – che la collegano ai bacini locali. A causa del cattivo stato delle condutture che collegano le comunità palestinesi in Cisgiordania e delle reti idriche all’interno delle città e dei villaggi palestinesi, circa un terzo di tutta l’acqua fornita all’ANP va sprecata per perdite che Israele si rifiuta di riparare.

Come risultato di tutti questi fattori, i palestinesi della Cisgiordania vivono con una costante carenza d’acqua che è in gran parte prodotta dall’uomo. Secondo i dati dell’Autorità palestinese per l’acqua per la Cisgiordania, nel 2015 il consumo medio di acqua per usi domestici, commerciali e industriali (esclusa l’agricoltura e la contabilizzazione delle perdite) è stato di 84,3 litri per persona al giorno. Questo è inferiore al minimo raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che è di 100 litri d’acqua a persona al giorno, solo per uso personale e domestico. Poiché il dato del 2015 include gli usi commerciali, il consumo privato dei palestinesi è ancora più basso.

La carenza d’acqua in Cisgiordania è più acuta in estate. Ciò è dovuto in parte al fatto che Mekorot riduce le quantità che fornisce ad alcune comunità palestinesi per soddisfare la maggiore domanda stagionale in alcuni insediamenti, e anche perché i pozzi in alcune parti della Cisgiordania producono meno acqua durante l’estate. Il ridotto volume d’acqua fa sì che la pressione dell’acqua nelle tubature si abbassi. Pertanto, per garantire che tutti i consumatori ricevano l’acqua, le autorità idriche palestinesi locali devono ruotare la fornitura tra le comunità e i quartieri. Di conseguenza, molti palestinesi soffrono di lunghe interruzioni dell’acqua, che di solito durano da pochi giorni a una settimana. Inoltre, la bassa pressione dell’acqua fa sì che a volte l’acqua non raggiunga luoghi lontani o ad alta quota.

Il piano riconosce, senza alcun coinvolgimento della controparte palestinese, un diritto israeliano all’intera Valle del Giordano. Ecco uno dei punti nodali del testo: Israele considera la valle militarmente strategica, tanto quanto è per i palestinesi strategica l’agricoltura e la valle è fondamentale.

La valle permette anche ai palestinesi l’accesso al fiume Giordano, che irriga 80mila ettari di terreno agricolo in Cisgiordania: cedere ad Israele la valle permetterebbe agli israeliani di deviare quell’acqua per il proprio uso. Nella valle vivono 65mila palestinesi – in 28 villaggi – e 11mila israeliani, che vivono in colonie illegali per il diritto internazionale.

Allo stato attuale delle cose, nonostante le proporzioni demografiche, oltre l’80 percento delle risorse idriche legate al bacino del fiume Giordano sono controllate dai coloni israeliani e solo il 20 percento dai palestinesi. Neanche una parola, nell’accordo, viene spesa per un riequilibrio di questa gestione delle risorse.

La situazione a Gaza, poi, è drammatica: qualsiasi riferimento a un miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi della Striscia che non parta dalla cessazione di alcune attività militari (come colpire la centrale elettrica) e dall’eliminazione dell’embargo su determinati elementi necessari alle infrastrutture non ha ragion d’essere. Tempo fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stimava nel 2020 l’anno della dichiarazione di ‘inabitabilità’ della Striscia per l’essere umano. Ci siamo, la situazione è identica, si è solo spostata in là la scadenza.

La falda acquifera costiera, su cui Gaza conta come fonte primaria di acqua, è stata inquinata da un eccesso di pompaggio e dalla contaminazione delle acque reflue. Di conseguenza, il 96,2% dell’acqua pompata dalla falda acquifera e fornita per uso domestico a Gaza non è potabile. In assenza di fonti d’acqua alternative disponibili a Gaza, il pompaggio eccessivo della falda acquifera continua ed è sull’orlo del collasso. I residenti non hanno altra scelta se non quella di ridurre la quantità di acqua che bevono e acquistare acqua desalinizzata da fornitori privati. Si stima che il 68% dell’acqua trattata sia inquinata, aumentando il pericolo di diffusione di malattie.

Una proposta di accordo che non si regge da svariati punti di vista, primo tra tutti quello del diritto internazionale, ma che dal punto di vista della gestione e della divisione delle risorse idriche fa particolarmente acqua da tutte le parti.