Il 17 giugno è la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità

 

di Marco Ranocchiari  – Photo Credit: Joetography

 

Il 17 giugno si celebra la Giornata mondiale della lotta alla desertificazione e alla siccità. La ricorrenza cade in un anno che vede la produzione agricola di molte zone del mondo – dalla California al Cile al sud-est asiatico, passando per l’Italia – minacciata da siccità gravi o estreme, e oltre due miliardi di persone in condizioni di stress idrico. Secondo il Global Land Outlook, report ufficiale dell’Onu sulla desertificazione, la degradazione del suolo interessa il 40% del pianeta e sta causando “un danno ambientale senza precedenti, contribuendo in modo significativo al riscaldamento globale”. Eppure contrastare il fenomeno è possibile, oltre a essere economicamente vantaggioso.  Un mese fa, alla conferenza delle Nazioni Unite di Abidjan, in Costa d’Avorio, i rappresentanti di 196 Paesi si sono impegnati a ripristinare un miliardo di ettari di terreni degradati entro il 2030. Intanto si moltiplicano le iniziative sul campo, come la “Muraglia verde” del Sahel.

 

La giornata 2022 e gli impegni dell’ONU

Quest’anno le celebrazioni ufficiali della Giornata contro la desertificazione si terranno in Spagna, a Madrid, paese tra i più vulnerabili allo stress idrico e agli impatti dei cambiamenti climatici. L’edizione 2022 della ricorrenza istituita nel 1995 dalle Nazioni Unite è dedicata in particolare alla siccità. In un anno in cui la carenza di precipitazioni raggiunge livelli record – dall’ovest degli Stati Uniti, dove sembra essere addirittura la peggiore degli ultimi 1200 anni al Cile all’India e Pakistan passando per l’Italia, il focus non poteva essere più attuale. “Le recenti siccità indicano un futuro precario per il mondo”, ha dichiarato Ibrahim Thiaw, Segretario esecutivo dell’UNCCD, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione. “Negli ultimi anni si sono intensificate le carenze di cibo e acqua e gli incendi  causati dalla grave siccità”.

Un mese fa ad Abidjan, in Costa d’Avorio, si è svolta la COP15, Conferenza delle Parti sulla desertificazione, uno dei tre incontri istituiti dalla Convenzione di Rio (insieme alla più famosa COP27 sui cambiamenti climatici,  che si svolgerà a novembre in Egitto, e quella sulla biodiversità, che dovrebbe svolgersi in Cina). I partecipanti hanno sottoscritto trentotto impegni, tra cui il ripristino di un miliardo di ettari di terreno degradato entro il 2030, l’istituzione di un Gruppo di lavoro intergovernativo sulla siccità e l’impegno ad affrontare le migrazioni forzate connesse al degrado dei terreni.  Un’enfasi particolare è stata attribuita all’uguaglianza di genere e alla consapevolezza che in molte regioni la desertificazione aumenta l’onere del lavoro, spesso non retribuito, di donne e ragazze.

 

Un problema globale 

Contrariamente a quanto spesso divulgato dai media, la desertificazione non consiste semplicemente nell’espansione delle aree desertiche, ma alla degradazione del suolo, con conseguente diminuzione della capacità produttiva, e riguarda tutti i continenti. Le conseguenze vanno dall’insicurezza idrica e alimentare alle migrazioni, oltre alle crisi economiche e una drammatica perdita della biodiversità. Nell’aprile di quest’anno è stato pubblicato il Global Land Outlook, il report delle Nazioni Unite su cui si è basata la maggior parte dei lavori della COP15. 

A suolo, acqua e biodiversità, si legge nel rapporto, è legata oltre metà del PIL globale, eppure raramente le società hanno questa consapevolezza. Il degrado del suolo colpisce tra il 20 e il 40% della superficie terrestre e quasi la metà della popolazione mondiale. 

La degradazione dei suoli è strettamente legata ai cambiamenti climatici e alla carenza idrica e quindi alla siccità. Secondo il report Drought in numbers 2022, presentato durante la COP15, gli eventi siccitosi sono aumentati del 29% negli ultimi vent’anni, colpendo quasi un miliardo e mezzo di persone. Sono 160 milioni i bambini esposti alla siccità estreme, e la cifra potrebbe salire entro il 2040 fino a interessare un bambino su quattro. Sebbene il 90% delle vittime si registri nei paesi in via di sviluppo, anche il Nord globale è esposto, con il 15% della popolazione europea che in media ogni anno si trova in territori che affrontano la carenza di precipitazioni.

Nel vecchio continente, l’Italia è tra i paesi più esposti sia al degrado del suolo che alla siccità. Negli ultimi mesi, alla perdurante carenza idrica del nord e sulle Alpi con il livello dei fiumi vicini ai minimi storici per il periodo, si è aggiunto lo spettro del razionamento dell’acqua potabile in Italia centrale, a causa degli scarsi livelli di riserve idriche essenziali come il Lago di Bracciano, il fiume Aniene e le falde dell’Appennino abruzzese.

Secondo i dati del Sistema nazionale per la protezione dell’Ambiente (SNPA) in Italia risulta molto vulnerabile alla degradazione  il 10% dei suoli – percentuale che sale al 49% considerando le aree a vulnerabilità media – a causa di numerosi fattori, tra cui erosione, salinizzazione, contaminazione e consumo di suolo, e il tutto è aggravato dall’aumento dei fenomeni siccitosi e dai cambiamenti climatici.

 

L’agenda: prevenzione e ripristino

Le azioni per raggiungere una “Land Degradation Neutrality” individuate dalle Nazioni Unite si concentrano su due direzioni: evitare nuova degradazione dei suoli e invertire la tendenza tramite il ripristino dei suoli danneggiati. Ognuna di queste pratiche dovrebbe basarsi su una raccolta dati scientificamente accurata, ma soprattutto deve essere interdisciplinare e partecipativa. Un approccio, cioè, integrato, basato sul coinvolgimento delle categorie coinvolte direttamente nella gestione dei territori, in primis quelle più vulnerabili (donne e comunità locali), in sinergia con altri obiettivi globali come quelli dell’Agenda 2030, dalla lotta alla povertà e dei diritti umani. Una sfida cruciale è rendere più sostenibile l’agricoltura, responsabile da sola dell’80% della deforestazione e che consuma il 70% dell’acqua dolce, tramite incentivi per buone pratiche ed eliminazione di quelli che consumano più risorse.

Il ripristino dei territori, scrivono gli autori del Global Land Outlook, consente allo stesso tempo di contrastare e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, ed è economicamente conveniente: ogni dollaro investito nel ripristino si stima possa restituire tra i 7 e i 30 dollari in benefici economici.

Tra le iniziative di ripristino figurano, oltre alle molte a scala locale, alcune grandiose come la Grande Muraglia Verde africana, che consiste in una distesa di alberi lunga quasi ottomila chilometri nel Sahel. Annunciato nel 2007, il progetto è pensato con criteri più moderni rispetto alla sua omologa cinese, prevenendone i potenziali effetti negativi ambientali. Dopo 15 anni è però ancora alle battute iniziali tra ritardi, ostacoli organizzativi e infrastrutturali.

Alcune Ong presenti al summit di Abidjan come Save Environment and People Agency, dello Zambia, sostengono che al di là delle dichiarazioni la volontà di coinvolgere società civile, donne e gruppi marginalizzati rimanga solo un impegno di facciata.

Il mondo, scrivono gli autori del Global Land Outlook, si trova ad affrontare una confluenza di crisi senza precedenti: la pandemia COVID-19 si è fusa con i continui e inarrestabili cambiamenti globali del clima, del territorio e della biodiversità. Nel frattempo si è aggiunta anche la guerra in Ucraina, che minaccia di provocare una gravissima crisi alimentare nei paesi già esposti alla siccità. La strada contro gli impatti di desertificazione e siccità è ancora lunga, ma intraprenderla senza ulteriori tentennamenti diventa sempre più urgente.