• Gli ostacoli del fiume Aras

    L’acqua da pace negativa a pace positiva

Nei metalli la qualità del raffreddamento determina la qualità della resistenza, una volta raggiunto il punto di equilibrio. Questo principio di termodinamica, insieme ad una poesia ed un fiume, basta a ricordare che quando l’acqua non è utilizzata correttamente anche il Caucaso, crogiolo di popoli, vede allontanarsi la propria stabilità.

Separarono il fiume Aras e lo riempirono di rocce e verghe. Non sarò separato da te. Ci hanno separati con la forza” ha recitato il presidente turco Erdogan durante la parata militare svoltasi a Baku il 10 dicembre 2020 per celebrare la vittoria azera contro l’Armenia nella seconda guerra nel Nagorno-Karabakh. Citazione del poeta indipendentista Bakhtiyar Vahabzadeh, questi versi sostengono come il fiume Aras abbia diviso il popolo azero tra Azerbaijan e Iran e sono il simbolo della dottrina pan-turca, il cui intento è quello di accorpare i popoli turcofoni in un’unica nazione.

Vi è una ragione per cui la reazione del governo iraniano, che ha definito detto auspicio come una violazione della propria sovranità, non si è fatta attendere: l’Aras, che nasce nei pressi nell’Anatolia Orientale e scorre per oltre mille chilometri prima di sfociare nel Mar Caspio, è terra di confine.

Da ovest a est, fino a quando non si immette nel fiume Kura, le sue sponde segnano non solo la frontiera turco-armena e la frontiera turca con la Repubblica Autonoma di Naxçıvan (exclave azera, ndr), ma dividono l’Iran sia dall’Armenia che dall’Azerbaijan.

Tuttavia, sorto veloce, il malcontento iraniano per le parole del presidente turco si è subito sgonfiato. E ciò è dovuto alla doppia natura dell’Aras: esso è sì un confine naturale tra Stati, ma è anche una risorsa preziosa il cui uso va necessariamente condiviso.

Bacino Kura - Aras

Stando a quanto riferisce l’agenzia azera Turan, a inizio gennaio 2021 Iran e Azerbaijan avrebbero infatti siglato un protocollo d’intesa per le nuove centrali idroelettriche di Ordubad e Marazad e per definire i passi da compiere per completare la costruzione dei nodi idroelettrici a Khudaferin e Maiden.

“Lo sfruttamento energetico del fiume Aras ha una lunga storia e di dighe ce ne sono parecchie” ha dichiarato a WGO Rovshan Abbasov, direttore del Dipartimento di Geografia e Ambiente della Khazar University, sita in Baku. “La prima di queste, l’Aras Dam, fu addirittura frutto della cooperazione tra Iran e Unione Sovietica. Come esperto non posso però che essere contrario a queste opere: nel lungo termine sono inefficienti. E a questo si deve aggiungere che dal 2005 ad oggi, in Azerbaijan, le terre irrigate sono raddoppiate.”

“Dei 43 km3 disponibili ne preleviamo circa un terzo, ma il 40% di quanto immesso nelle reti idriche va perso” continua Abbasov. “Il fiume Kura, il più grande fiume del Caucaso, è rimasto a secco per quasi tre mesi e l’Aras (che dovrebbe avere una portata media di 280 m3/s, ndr) è ridotto a poco più di un torrente. L’ecosistema ha bisogno di acqua: una volta gli storioni del fiume Aras erano rinomati, ma tra sbarramenti e siccità non possono più risalire il suo corso e riprodursi.”

La carenza d’acqua non è l’unica questione da risolvere. Se ne possono aggiungere altre due legate alla sua qualità. In primo luogo, la deforestazione e il pascolo eccessivo hanno incentivato l’erosione del suolo. Le frane di fango sono frequenti e come rilevato nel 2011 dagli esperti della Commissione per l’Europa delle Nazioni Unite in un report riguardante le performance ambientali azere, l’Aras può essere considerato uno dei fiumi più torbidi al mondo. Come è noto, ciò non è necessariamente un pregio: l’accumulo di sedimenti, ad esempio, riduce l’efficienza delle dighe e aumenta il rischio di esondazioni. In secondo luogo, sebbene vi siano stati dei miglioramenti, l’Aras resta un fiume inquinato.

Tralasciando agricoltura e acque reflue urbane, preoccupa particolarmente la presenza di metalli pesanti, dovuta agli scarichi industriali e soprattutto all’attività mineraria. Cromo, nichel e molibdeno vengono quotidianamente estratti in tutto il bacino, ma è un minerale in particolare a creare i maggiori problemi.

Meghri è una città situata nel sud dell’Armenia, al confine con l’Iran, e i suoi dintorni sono ricchissimi di rame. In un’intervista pubblicata a inizio febbraio su Open Democracy Russia, Vahagn Khachatryan, economista ed ex sindaco di Yerevan, ha dichiarato che il distretto di Meghri potrebbe essere particolarmente attraente per le aziende iraniano-armene, poiché entrambi i Paesi fanno parte dell’Unione economica dell’Eurasia.

Tra le priorità menzionate vi è la costruzione di una fonderia di rame, in modo che il minerale estratto localmente possa essere lavorato piuttosto che esportato grezzo. Tuttavia, l’area di Meghri, con le questioni ambientali che la interessano, ha le qualità per essere definita come il fulcro di una vera e propria leva politica.

Il governo iraniano, da sempre partner armeno, vuole cooperare nel settore minerario, ma nel Paese è progressivamente aumentata la pressione affinché l’Armenia riduca l’inquinamento dell’Aras. Nel frattempo, come sopra riportato, Teheran si è accordata con Baku per costruire alcuni sbarramenti. Tra questi vi sarebbe la diga di Ordubad, qualche decina di chilometri a monte di quel Paese, l’Armenia, che accusa l’Azerbaijan, attraverso il proprio Difensore Civico, di aver deviato il corso naturale di torrenti montani verso quella direzione, lasciando a secco interi villaggi armeni.

Si consideri un ulteriore fatto: è di soli cinque anni fa la Risoluzione 2085, appoggiata anche dall’amministrazione Obama, con la quale l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa chiese al governo armeno di consentire ispezioni indipendenti alla Sarsang Reservoir e di far scorrere l’acqua da questo bacino idrico, obsoleto dal punto di vista infrastrutturale ma strategico per le genti del basso Karabakh.

Basta accennare quanto sopra per rendere evidente come l’acqua, nel Caucaso del Sud, sia solo uno dei fattori di crisi ambientale utilizzati come arma di prevaricazione e strumentalizzazioni. Emerge però, all’orizzonte, uno scenario sì futuro e incerto, ma completamente diverso.

Ad oggi l’intera regione è priva di un piano di sicurezza idrica e i sistemi di gestione dell’acqua, come ad esempio i canali d’irrigazione, sono vecchi di secoli” ricorda a WGO Saber Masoomi, esperto di sicurezza idrica e sviluppo internazionale. “Si deve agire in un contesto regionale e in maniera coordinata perché l’intero territorio ha un enorme potenziale relativamente al nesso acqua-energia-cibo. L’Azerbaijan sta investendo in tal senso e anche Armenia e Georgia dovrebbero iniziare a farlo. È vero, hanno più di 9500 corsi d’acqua e per ora non soffrono crisi idriche, ma ciò non significa che non debbano agire per evitare futuri problemi”.

L’Aras è stato inoltre oggetto di uno studio sugli impatti antropogenici sui bacini transfrontalieri, pubblicato il 13 ottobre 2020 sul giornale scientifico MDPI, che ha rilevato la necessità di un contesto decisionale in cui tutti gli attori possano confrontarsi. Ma come fare?

L’acqua ha un importante ruolo per la mediazione e, sempre secondo Masoomi, a Georgia e Iran spetta il ruolo di facilitatori. “Trovare un consenso generale non è impossibile, tutte le parti ne hanno interesse. Tuttavia, si deve evitare di ricondurre la questione dell’Aras a convenzioni internazionali come quella di Helsinki 1992 sull’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri al fine di evitare i veti della Turchia”.

Erdogan ha di recente dichiarato che “non vi è nessuna differenza tra difendere le risorse idriche e difendere la Patria”, ma c’è una ragione per cui la Turchia va necessariamente coinvolta. Mentre l’Iran può farsi garante delle acque dell’Aras perché questo scorre lungo quasi tutto il suo confine settentrionale, pur essendo a monte la Turchia potrebbe essere intenzionata a partecipare in ragione dell’alleanza con l’Azerbaijan.

“La pace duratura non è la pace negativa dei cessate il fuoco militari” spiega in riferimento alla seconda guerra del Nagorno-Karabakh Grigor Ghazaryan, fino al 2019 diplomatico presso il Ministero degli Esteri armeno e attualmente professore dell’Università Statale di Yerevan. “La pace positiva non si costruisce facendo missioni di peacekeeping, ma si costruisce solo con un accordo tra i popoli, accordo che deve essere necessariamente condiviso e conveniente per entrambe le parti”.

Grigor Ghazaryan, che è anche principale referente del Comitato Interculturale Alexander Langer in Yerevan, interrogato a riguardo conclude: “l’acqua come strumento di pace potrebbe funzionare, ma solo se c’è questa predisposizione. Deve esservi la volontà”.

L’uso del condizionale rende chiaro come la strada sia ancora tutta da percorrere, ma qualche spiraglio si può intravedere. Riferendo di avere avuto in più occasioni la certezza che colleghi armeni siano della stessa opinione, Rovshan Abbasov, professore azero citato in precedenza, afferma infatti come sia giunto il momento di risolvere la questione dell’Aras e incontrarsi. Speriamo che il principio langeriano per cui non può esservi pacifismo senza ambientalismo (e viceversa) valga anche in questo caso.

TESTO: Kaldor Giorgio

FOTO: Khortan, CC BY-SA 3.0
Abdossamad Talebpour, CC BY-SA 3.0
unbdaveable, CC BY 2.0
inky from the tape, CC BY-NC 2.0

MAPPE: Kaldor Giorgio


SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE

Maririosa Iannelli, Emanuele Bompan, Christian Elia – Water Grabbing Observatory